Diritti - Diritto di cittadinanzaParlare di cittadinanza nel mondo contemporaneo risulta arduo: significa, infatti, non solo delineare la figura di quanti condividono il medesimo suolo, la medesima lingua e cultura ma, allo stesso tempo, comporta familiarizzare con concetti come integrazione, globalizzazione , popolo, territorio e molto altro. Perché anche la cittadinanza, come la nazionalità (della quale rappresenta diretta derivazione), molto dice su chi si è o chi si vorrebbe essere. Le trasformazioni epocali dimostrano la crisi di un modello storico di organizzazione sociale che richiede non solo una nuova configurazione istituzionale, ma un nuovo tipo di relazione tra stato e società civile, il cui fulcro sia il paradigma di nuove forme di cittadinanza.
Cittadinanza Giuridica La cittadinanza giuridica, sorta e sviluppatasi in Occidente, acquista un limite da modificare con nuovi approcci di tipo antropologico e sociologico. Nasce così il concetto di cittadinanza attiva, definendo con esso l’attitudine del cittadino, inteso come colui che abita la città, ad organizzarsi in pluralità di forme e ad esercitare un potere autonomo per la tutela dei propri diritti, in quelle aree della vita sociale nelle quali maggiore è l’impotenza dei poteri pubblici e dove, per questo, si sperimentano di più fenomeni di abbandono, sudditanza, emarginazione e sofferenza. Nel caso degli emigranti, residenti e non cittadini, tale richiesta di cittadinanza attiva si spinge verso l’ottenimento del voto amministrativo, in attesa del riconoscimento di diritti politici da esercitare nel luogo in cui hanno deciso di permanere e di lavorare contribuendo alla sua crescita di cultura e di produzione. C’è bisogno di strumenti idonei per l’affermazione dei principi di pari dignità e di uguale trattamento, secondo una nuova concezione di cittadino, che vada al di là dell’appartenenza a uno stato specifico. La realtà in cui viviamo, multietnica e multiculturale, è e sarà sempre più costituita da popoli diversi dentro una comune cittadinanza e deve potersi sviluppare nel rispetto di una civiltà fondata su criteri-guida universali e sul diritto, per eliminare fenomeni di irregolarità e di illegalità, a cui spesso oggi si assiste. E tali fenomeni, diffusi e poco controllabili politicamente, stanno trasformando lo stesso principio-valore di cittadinanza in criterio di discriminazione tra cittadinanze che si trovano a convivere o a entrare in conflitto nello stesso luogo abitato. Una conquista civica e di civiltà che si sta trasformando in elemento discriminante delle proprie condotte. I modelli di convivenza civile e di coesione sociale che definiscono correntemente il welfare, presentano segni di crisi che incidono su tutte le forze politiche, siano progressiste o conservatrici. Segni di crisi che hanno delle implicazioni profonde sulle culture democratiche che stanno cercando risposte valide in termini di sostenibilità economica finanziaria e di equità, di flessibilità e di apertura dinanzi alle profonde trasformazioni che stanno avvenendo. Questo banco di prova è molto importante soprattutto per quelli che hanno scommesso sulla lotta contro la povertà e l’esclusione sociale, di chi soffre oggi il grande svantaggio di un’insicurezza sociale. Cittadinanza attiva Si profila una cittadinanza attiva, meno passiva, meno disposta a delegare, più coinvolta nel soddisfacimento dei bisogni individuali e collettivi, che può diventare lo strumento efficace per un benessere sociale e relazionale, che sappia porre le basi per quella sicurezza sociale di cui tanto si parla. La cittadinanza attiva si può considerare come forma diversa di una nuova organizzazione socio - politica. Non risponde più solo a funzionalità produttive o di ricerca di nuova soggettività, ma all’esigenza di realizzare in pieno forme di “autogoverno locale”. Si parla tanto, oggi, di autonomia, di decentramento, ma è ancora difficile individuare su quali spazi realizzarle. Concettualmente sono ben spiegate dalla scienza politica ma richiedono disponibilità e volontà da parte dei poteri costituiti che tendono, invece, a rinchiudersi e ad autocentrarsi per il proprio automantenimento. Come realizzare un’autogovernabilità? Di fronte all’impatto di nuove presenze di cittadinanza riconosciute esclusivamente a livello etnico e solo in parte, e non dovunque, a livello amministrativo, l’impalcatura sociale sembra barcollare. Occorre dare riconoscimento alla realtà sociale che si va configurando in modo diverso e in cui i soggetti sociali premono perché ciò avvenga. Sta maturando una nuova coscienza comune che pretende, oltre le differenze, che si considerino qualità , bisogni, esigenze della persona in quanto tale. Ognuna di esse dovrebbe essere messa in condizione di sentirsi, legittimamente, nel diritto di partecipare alla costruzione del sistema sociale in cui è inserita. E questo sarà possibile nella misura in cui avverrà, di fatto, il riconoscimento e l’attribuzione dei diritti di tutti a tutti, intesi universalmente validi proprio perché di tutti, qualificanti originariamente le dimensioni di dignità e di libertà di ogni persona, a prescindere dalle sue caratteristiche etniche, culturali e religiose. Siamo oggi alla quarta generazione dei diritti e c’è chi parla di cittadinanza del nuovo diritto internazionale, cioè di un nuovo costituzionalismo mondiale. Se la soggettività giuridica è la titolarità di diritti e la cittadinanza è l’appartenenza a una data comunità politica, quale presupposto dei diritti da essa conferiti, nel nuovo paradigma di cittadinanza ogni essere umano è ormai soggetto di diritto internazionale, ossia cittadino non più solo del proprio stato ma anche della Comunità internazionale, sia essa di carattere regionale, come per esempio l’Unione Europea, o di carattere mondiale come l’Organizzazione delle Nazioni Unite. Ed è in questa linea che si parla di cittadinanza plurima. Questa trasformazione di concetto è ancora, e purtroppo, soltanto presente sul piano giuridico, mentre dovrebbe essere attuata negli effettivi rapporti tra cittadino – stato e Comunità mondiale. Direttiva del Consiglio dell'Unione Europea Interessante, a riguardo, considerare la Direttiva 2000/43/CE del Consiglio del 29 Giugno 2000, relativa all’attuazione del principio di parità di trattamento tra persone, senza distinzione di razza o di origine etnica, e la Direttiva quadro relativa alla lotta contro quelle forme di discriminazione elencate nell’Articolo 13 in materia d’impiego (Direttiva 2000/78/CE del Consiglio del 27 Novembre 2000) del Consiglio dell’Unione Europea. Di conseguenza, si stanno sostenendo due campagne europee: Il Diritto a Vivere in Famiglia degli Immigrati Originari dei Paesi Terzi affinché non sia subordinato ai cambiamenti delle politiche di immigrazione degli stati dell’unione europea; Il Diritto a una “Vera Cittadinanza Europea” sostenendo il concetto della cittadinanza europea di residenza . Infatti, dopo il Trattato di Maastricht, l’Unione Europea sta passando in rivista alcune iniziative prese dalla Commissione nel quadro del Titolo IV per l’esame di alcune disposizioni nazionali relative ai diritti dei fuorusciti dei paesi terzi, dei rifugiati e dei migranti che vivono in seno all’UE (anche di terza generazione) e che soffrono di discriminazione. Infine, l’aumento delle forme associazionistiche degli ultimi anni è il termometro di una vivacità, di un desiderio di costruzione e cambiamento sociale e politico che indica la direzione verso la quale procedere. La Costituzione italiana parla di cittadinanza all’art.22 affermando che nessuno può essere privato per motivi politici della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome. Tuttavia, il termine “cittadino” ricorre molto spesso nel testo costituzionale e questo ha fatto sorgere qualche discussione fra gli studiosi relativamente all’interrogativo se sull’idoneità alla titolarità di tutti i diritti costituzionali non influisse il possesso della cittadinanza stessa. Secondo una ulteriore teoria (Pace) la Costituzione dovrebbe essere trattata alla stregua di un “fatto politico” valido per i soli cittadini; l’uguaglianza di cui all’art.3, riguardando formalmente i soli cittadini, autorizzerebbe a pensare che la cittadinanza possa giocare un ruolo diversificante nella disciplina delle situazioni giuridiche soggettive; ancora, la condizione giuridica dello straniero, essendo rimessa alle cure della legge ordinaria “in conformità delle norme e dei Trattati internazionali” come da art.10 comma 2, farebbe ritenere che il legislatore ordinario possa tutelare i cittadini italiani all’estero con il ricorso alla clausola di reciprocità ed estendere agli stranieri il godimento di tutti i diritti che la Carta costituzionale riserva ai soli cittadini. Per quanto attiene agli apolidi, l’art.29 delle preleggi stabilisce che essi siano equiparati agli stranieri sul piano pubblicistico e ai cittadini dello Stato in cui risiedono sul piano privatistico. La legge a tutt’oggi vigente in Italia e concernente la cittadinanza è la n.91 del 5 febbraio 1992 cui ha fatto seguito il D.P.R. del 12 ottobre 1993 n.572 (regolamento di esecuzione). La normativa in oggetto è venuta a sostituire la l. 555 del 13 giugno 1912. Esistono sostanzialmente tre modalità di attribuzione della cittadinanza: automatica, mediante beneficio di legge e per naturalizzazione. Cittadinanza vuol dire anche differenza. E la differenza costituisce spesso il lato piacevole di ogni riflessione su questo concetto: la multiculturalità ne è un aspetto importante ed ancora una volta viene a determinare la possibilità di scegliere fra più insegnamenti, più lingue, più religioni, più tradizioni. Dunque cittadinanza come differenza, differenza come scelta, scelta come libertà: è un buon punto di partenza. Annamaria Donnarumma |
Edizione contenuti Aprile 2012 - Riedizione grafica Luglio 2013
Copyright 2012-2013 ® Comitato Cittadino per la Cooperazione Decentrata della Città di Roma. Tutti i Diritti Riservati.
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