Altra Economia - DecrescitaQuali sono le premesse su cui si basa il pensiero della decrescita, emerso all’inizio degli anni ’70 dalle opere di alcuni pensatori illuminati ma non certo iniziatori di correnti di pensiero a grande diffusione (Marcel Mauss, Ivan Illich, Georgescu Roegen, Karl Polanyi, ecc.) e poi ripreso in alcuni paesi da Alain Caillè, Serge Latouche, e molti altri e reso ben conosciuto da scritti descrittivi e propositivi, che hanno caratterizzato gli ultimi 15 anni e che solo oggi cominciano ad interessare fonti di più larga diffusione?
Un primo filone riguarda il problema del cosiddetto sviluppo, la parte di “pensiero unico” cioè dell’ideologia liberista che domina il mondo occidentale dalla fine della seconda guerra mondiale e che tanti guasti ha arrecato ai paesi coloniali prima e poi al cosiddetto Terzo mondo dagli anni ’60 del secolo ad oggi. Fin dal famoso discorso di Truman del 1949, per i paesi usciti vincitori dalla guerra e per tutti quelli già industrializzati, veniva tracciato un modello economico basato sulla continua crescita del reddito nazionale, concepito come l’unico indicatore di benessere della popolazione, e sul prelievo ed uso, senza limiti e spesso senza recupero, di materie prime. E’ ormai evidente a molte persone, ma non certo agli Stati, che l’impiego senza alcuna considerazione sull’ammontare delle riserve ancora ipotizzabili sul pianeta, e cioè senza tenere conto della limitatezza delle risorse del suolo e della pratica impossibilità di riprodurle nella maggior parte dei casi, crea delle enormi difficoltà nei processi industriali dei prossimi anni. Però il pensiero dominante considera la sviluppo “come la realizzazione dei desideri e delle aspirazioni di tutti e di ciascuno”, anche se dopo oltre 60 anni è ormai evidente che processi di questo tipo non si sono mai verificati in nessun paese del mondo, mentre aumentano paurosamente le persone i cui diritti essenziali sono completamente ignorati. Il carattere mitico e illusorio del concetto di sviluppo è stato ben descritto da autori come S. Latouche, però continua a infestare le pagine dei rapporti delle organizzazioni internazionali e il linguaggio di quasi tutti i politici. Un secondo filone del pensiero racchiuso nella cornice della decrescita riguarda la situazione reale delle terre e delle acque del pianeta, ormai ben nota a livello delle ricerche scientifiche e di alcune sedi internazionali, mentre gran parte degli Stati e delle organizzazioni internazionali si rifiutano ancora di riconoscere la drammatica situazione in cui versa il pianeta nel suo insieme. Negli anni più recenti sono emersi il riscaldamento dell’atmosfera causato in gran parte dall’emissione di Co2 che determina “l’effetto serra”; la scomparsa di un numero crescente di specie animali e vegetali, con la perdita della preziosa diversità genetica, ecc.; i rapidi mutamenti climatici indotti dalle attività umane; la individuazione di diecine di meccanismi di danni ambientali, alcuni dei quali pressoché irreversibili o tra loro interagenti, e soprattutto la chiara evidenziazione delle logiche di causa-effetto e cioè delle imprese o delle politiche all’origine dei danni arrecati al pianeta. Da tutte queste analisi emerge il carattere sistemico dei fenomeni, in quanto sono tutti riconducibili al sistema economico e finanziario oggi dominante, che ha visto il pianeta come una sfera di componenti utili alla vita e alla tecnologia degli esseri umani, rifiutando di accorgersi del fatto che all’interno della biosfera operano dei meccanismi delicatissimi di riproduzione e di recupero che non debbono assolutamente superare la soglia della riproducibilità e del continuo riequilibrio. Il terzo filone, purtroppo accessibile ad un numero limitato di esperti e di centri decisionali, riguarda l’estrazione di petrolio, di gas e varie fonti energetiche, nonché di una serie di altre materie prime fondamentali (da quelle agricole a quelle per usi industriali, comprese le cosiddette “terre rare” essenziali per i prodotti elettronici) ha da tempo posto il problema del loro esaurimento o comunque del raggiungimento del “picco di produzione” cioè il momento in cui i costi della loro produzione superano i guadagni derivanti dalla loro immissione sul mercato. Per alcune fonti, non si tratta di un rischio a venire, ma dei picchi sarebbero stati di fatto già superati. Di nuovo, siamo di fronte al fatto che il pianeta è un sistema finito, con dei limiti fisicamente insuperabili, mentre finora le scelte produttive e le logiche evolutive delle tecnologie si sono comportate come se avessimo a disposizione più pianeti. Il pensiero della decrescita, inoltre, sta elaborando un filone di riflessione, che riguarda gli aspetti non strettamente economici della crisi sistemica, sta cioè cercando di immaginare come dovrebbero essere le società di un futuro non molto lontano. Questo sforzo di immaginazione e di creatività mentale e fattuale è appena all’inizio, ma dovrebbe diventare quanto prima una componente ineludibile della nostra vita quotidiana. Infine, il pensiero della decrescita si trova oggi di fronte alla necessità di elaborare rapidamente una amplissima serie di percorsi, alternativi a quelli dominanti, che affrontino singoli meccanismi economici e li rimettano in relazione positiva con le logiche della ecosfera. Filiere produttive gravemente dannose devono essere ridotte al minimo, prodotti non recuperabili devono essere sostituiti da beni riciclabili all’infinito, scorie e rifiuti devono essere ricondotti a dimensioni riassorbibili dalla terra e dai mari, tutte le specie animali e vegetali devono essere salvaguardate insieme ai loro ambienti di elezione, i nostri consumi devono prevedere solo la soddisfazione di bisogni essenziali, mentre devono essere resi facilmente fruibili per tutti il godimento del tempo finalmente liberato e l’accesso alle opere della natura e dell’arte finalmente salvaguardati in modo radicale. |
Edizione contenuti Aprile 2012 - Riedizione grafica Luglio 2013
Copyright 2012-2013 ® Comitato Cittadino per la Cooperazione Decentrata della Città di Roma. Tutti i Diritti Riservati.
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