Co-sviluppo
La riflessione critica che negli ultimi decenni investe l’attuale modello economico e produttivo si concentra su alcuni aspetti della globalizzazione e sui punti di maggiore criticità del sistema, in particolare lo strettissimo legame tra economie del Nord e del Sud e il progressivo aumento dei flussi migratori: da campagna a città, da regione a regione, da un paese all’altro, da un continente all’altro.
E’ un generalizzato e apparentemente inarrestabile esodo dalle aree povere a quelle ricche del pianeta, sia perché le crescenti disparità sociali unite alla circolazione delle informazioni inducono migliaia di persone – spesso le più giovani e colte – a voler migliorare le proprie condizioni di vita per accedere a quel “benessere” da cui si vedono escluse, sia perché le conseguenze dei cambiamenti climatici (desertificazione, inondazioni, erosione di terre prima fertili) costringono altri – i cosiddetti “migranti ambientali” – a lasciare le proprie case per garantirsi una pur minima possibilità di sopravvivenza. Da questa riflessione nasce il termine “co-sviluppo”, coniato nel corso del Consiglio Europeo di Tampere (1999) ed elemento chiave in quel processo di ridefinizione di politiche e strumenti della cooperazione internazionale che parte dalla crisi del concetto di sviluppo e finisce per mettere in discussione l’intera filosofia degli aiuti e il ruolo stesso degli attori: non più “donatori” contrapposti a “beneficiari” ma partner, soggetti omologhi (comparabili per dimensione, interessi, problematiche) che cercano insieme il modo migliore di gestire i rispettivi territori e avviarne a soluzione i problemi, puntando alla promozione di forme di cittadinanza attiva - la possibilità per la società civile di avere voce, diritti, responsabilità – e tenendo ben presenti diritti, bisogni, possibilità di sviluppo, al Nord come al Sud. “Le” possibilità di sviluppo, al plurale, perché non è detto che ce ne sia una sola e che debba essere la stessa per tutti. |
Viene anche ripensato il contesto dell’azione. Se al centro di ogni processo di sviluppo - al Nord come al Sud - sta la promozione della cittadinanza attiva, l’azione può essere più efficace se portata, nel rispetto del principio di sussidiarietà[1], a livello locale, dove la vicinanza di amministrazione e società civile consente ai cittadini di far sentire più forte la loro voce per avanzare richieste, formulare critiche, esercitare controlli.
L’azione si sposta così dal centro alla periferia, dalle istituzioni governative alla molteplicità dei soggetti attivi sul territorio, cercando di affrontare le problematiche locali in un’ottica di compatibilità internazionale e di promuovere concrete azioni di co-sviluppo. |
Puntando a trasformare il tradizionale rapporto verticistico Nord-Sud in un “rapporto di reciprocità e corresponsabilità più aperto all’interdipendenza tra le diverse sfere delle relazioni internazionali”[2] e ad esercitare pressioni dal basso (società civile) verso l’alto (governi locali e centrali, organismi sopragovernativi) in difesa dei Beni Pubblici Globali[3].
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In questo nuovo approccio un ruolo chiave è giocato dai migranti[4], la cui condizione di ponte tra due culture - quella di origine e quella di accoglienza - spesso vissuta come “problema” dalle società e dagli stessi interessati, può, se opportunamente valorizzata, diventare “risorsa” e trasformarli in strumento di dialogo e volano di sviluppo per entrambi i territori.
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Se è vero che dalla globalizzazione non si può prescindere, si può sempre provare - per dirla con Bauman – a trasformarla da maledizione in benedizione, da minaccia in opportunità, prendendo coscienza “della nostra irreversibile dipendenza reciproca” e dell’inevitabile ”nuotare insieme o annegare insieme”[5].
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Principio che pone la persona umana – l’individuo e i suoi legami relazionali - al centro di ogni ordinamento e stabilisce che l’attuazione di
qualunque intervento (da parte dell’ente pubblico o da parte dei cittadini, anche in forma associata) sia portata al livello più vicino possibile ai cittadini stessi. |
Andrea Stocchiero, I nodi dell’evoluzione della cooperazione decentrata italiana, Working Papers CeSPI 37/2007, p. 8.
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“Quei beni pubblici i cui benefici, o costi, coinvolgono più o meno tutta l’umanità in termini geografici; i cui effetti esprimono una forte componente inter-generazionale; e la cui fornitura richiede una forte componente cooperativa dagli Stati” (Kim Bizzarri, Beni Pubblici Globali, Campagna per la Riforma della Banca Mondiale e Fondazione Culturale Responsabilità Etica, marzo 2005, p.9). L’economista e premio Nobel J. Stiglitz ha identificato 5 BPG principali (stabilità economica internazionale; ambiente; stabilità politica; aiuti umanitari; conoscenza) mentre I. Kaul, direttrice UNDP, li classifica in 7 categorie (Equità; Giustizia e Stabilità Sociale; Stabilità Economica e Finanziaria Internazionale; Stabilità Climatica; Controllo delle Malattie Infettive; Conoscenza ed Informazione; Biodiversità; Pace e Sicurezza).
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Co-sviluppo significa lavorare, per e con i cittadini migranti, in due direzioni: da un lato provvedere all’accoglienza e all’inserimento lavorativo e sociale dei migranti, dall’altro promuovere iniziative di cooperazione dirette ai paesi di provenienza, nell’intento di innescare un processo virtuoso in entrambi i territori – del Nord e del Sud - e rendere possibile, per quanti la desiderassero, una concreta prospettiva di rientro. Sul problema cfr. Andrea Stocchiero, Sei personaggi in cerca d’autore. Il co-sviluppo in Italia: pratiche senza politica, Working Papers CeSPI 60/2009, p.3.
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Cfr. Amartya Sen, Lo sviluppo è libertà, A. Mondadori Editore S.p.A, Milano 2000 e Duncan Green, Dalla povertà al potere. Come la cittadinanza attiva e gli stati efficaci possono cambiare il mondo, Coedizione Altra Economia Soc. Coop., Milano 2009.
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Edizione contenuti Aprile 2012 - Riedizione grafica Luglio 2013
Copyright 2012-2013 ® Comitato Cittadino per la Cooperazione Decentrata della Città di Roma. Tutti i Diritti Riservati.
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