Diritti - Bene comune, un concetto da definireDifficile dire che cosa susciti in noi, cittadini della seconda decade del XXI secolo, l’espressione “bene comune”…Una idea vecchia e lontana? Un ideale nobile, ma decaduto? Oppure un valore da riproporre, un obiettivo che ci ridà il gusto dell’impegno sociale e politico? Un concetto non confinato al solo mondo cattolico, ma con un valore laico. Un concetto che ci può restituire il gusto di sentirci parte della società in cui viviamo, quella locale e quella globale, parte attiva, in cammino, con una meta, con un impegno comune, l’impegno appunto, per il bene comune …
Rodotà[1] spiega come si è data una prima definizione dei beni comuni concepiti come quelli funzionali all'esercizio di diritti fondamentali e al libero sviluppo della personalità, che devono essere salvaguardati, sottraendoli alla logica distruttiva del breve periodo, Proiettando la loro tutela nel mondo più lontano, abitato dalle generazioni future e destinati al soddisfacimento di bisogni primari e diffusi, ad una fruizione collettiva. I beni comuni sono "a titolarità diffusa", appartengono a tutti e a nessuno, nel senso che tutti devono poter accedere ad essi e nessuno può vantare pretese esclusive. Devono essere amministrati muovendo dal principio di solidarietà. Indisponibili per il mercato, i beni comuni si presentano così come strumento essenziale perché i diritti di cittadinanza, quelli che appartengono a tutti in quanto persone, possano essere effettivamente esercitati. La nozione dei beni comuni – sostiene Mattei[2] - ha compiuto un salto di qualità, diventando una vera parola-chiave del panorama internazionale, dopo il Nobel dato a Elinor Ostrom, nel 2009, per i suoi lavori sulle modalità di autogoverno dei beni comuni. Ma la Ostrom non si è posta la questione politica di fondo. Per Mattei “pensare i beni comuni significa innanzitutto utilizzare una chiave autenticamente globale che pone al centro il problema dell’accesso e dell’uguaglianza reale delle possibilità su questo pianeta”. La battaglia per i beni comuni deve essere fatta assumendo una visione del mondo non economica ma ecologica, dal momento che di fatto l’economia, da 300 anni, è la scienza dello sfruttamento rapido ed efficiente della natura e del lavoro umano. Breve storia del Bene Comune Nasce da Aristotele, il quale considera “beni” i fini che l’uomo persegue nel suo agire. E considera che il fine più alto che l’uomo possa perseguire è la costruzione della polis, della città. Cioè, la politica. E dunque – appunto – il bene comune. In tutto il mondo greco, e non solo per i filosofi, avere a cuore la vita della polis era, in effetti, di primaria importanza (l’uomo privato, che non si interessava della cosa pubblica, lo si appellava con il termine “idiota”…). Il concetto di bene comune, poi, vive nella civiltà romana nel significato di “bene della collettività”. La res publica. Ma non viene approfondito, tranne una certa attenzione che vi dedicano, in particolare, Cicerone e Seneca. Ritornerà al centro dell’interesse molto più tardi, nel XIII secolo, soprattutto con Tommaso d’Aquino, che lo riprende da Aristotele e ne farà il perno della sua visione dell’uomo e della comunità umana. Una visione che caratterizzerà fortemente tutta l’epoca medievale. Da allora la nozione di bene comune vive una lunga, ininterrotta, stagione nel pensiero cattolico, arrivando a costituire un elemento centrale di quella che verrà chiamata la dottrina sociale della Chiesa cattolica: dall’enciclica Rerum Novarum di Leone XIII, alla fine dell’Ottocento, fino a Jacques Maritain, al Concilio Vaticano II, e, più recentemente, all’enciclica Caritas in veritate, di Benedetto XVI, e, in Italia, alla 45° Settimana Sociale dei Cattolici italiani (“Il bene comune oggi: un impegno che viene da lontano”), tenutasi nel 2007. Nella cultura laica, invece, il concetto di bene comune esce di scena fin dal primo Rinascimento. Resta estraneo a gran parte del pensiero filosofico e politico e dell’etica laica dal secolo XV in poi. E’ ignorato dall’illuminismo e non viene più ripreso fino a buona parte del Novecento. Ricompare soltanto negli ultimi decenni del secolo scorso, in alcuni filosofi del diritto di matrice anglosassone interessati alla nozione di giustizia sociale (come John Rawls) e nella corrente degli economisti che si interrogano sull’esistenza dei beni collettivi (tra cui il recente premio Nobel, Elinor Ostrom). Sembra ora vivere una nuova stagione sotto traccia, racchiuso nella nozione di “beni comuni”, cioè quei beni che cominciano ad essere riconosciuti da tutta la società, e forse dall’intero genere umano, come il presupposto necessario per la vita sociale di tutti, il fondamento di una vita in comune: acqua, salute, istruzione, conoscenza, energia Definizioni recenti di Bene Comune "Il bene comune consiste nell’insieme di quelle condizioni sociali che consentono e favoriscono negli esseri umani lo sviluppo integrale della loro persona" (Giovanni XXIII, Mater et magistra, n. 51, anno 1960). Il bene comune è … “l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono, sia alle collettività sia ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più celermente” (Concilio Vaticano II, Costituzione “Gaudium et spes”, n. 26, anno 1965) “Il bene comune non consiste nella semplice somma dei beni particolari di ciascun soggetto del corpo sociale. Essendo di tutti e di ciascuno è e rimane comune, perché indivisibile e perché soltanto insieme è possibile raggiungerlo, accrescerlo e custodirlo, anche in vista del futuro”. (Compendio della Dottrina sociale della Chiesa”, n. 164, anno 2004) “Accanto al bene individuale, c'è un bene legato al vivere sociale delle persone: il bene comune . È il bene di quel “noi-tutti”, formato da individui, famiglie e gruppi intermedi che si uniscono in comunità sociale. Non è un bene ricercato per se stesso, ma per le persone che fanno parte della comunità sociale e che solo in essa possono realmente e più efficacemente conseguire il loro bene”. (Benedetto XVI, Caritas in veritate, n. 7, anno 2009) “Il bene comune è il bene fondamentale che accomuna tutti i membri della nostra società: esso consiste nella nostra comune umanità, nel nostro essere e divenire persona. Il perno del bene comune è l’essere umano come persona e che, in quanto tale, si realizza nella relazione comunitaria con le altre persone. L’adesione al bene comune si fonda pertanto sull’adesione comune ad un Bene più grande: la persona umana”. (“Nell’educazione le ragioni e l’esperienza del bene comune”, Documento Finale del 3° Incontro nazionale del Tavolo interassociativo, Sassone, Roma, 8-10 maggio 2009. Tra esse: Azione Cattolica Italiana, Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani, Associazione Italiana Genitori, Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani, Comunità S. Egidio, Federazione Organismi Cristiani Servizio Internazionale Volontariato). “Con bene comune intendo, nella città dell’uomo, la condivisione di uno sforzo intenzionale e consapevole, da parte di persone libere ma fallibili, in direzione di un obiettivo comune a tutti, in quanto intersezione positiva di una pluralità di concezioni del bene, coerenti e compatibili con il futuro lontano della famiglia umana. Se non vi è intersezione non vi è comunità e nemmeno bene comune. Esiste una pluralità di beni comuni incapsulati lungo le duplici coordinate del tempo e del livello di comunità, dalla famiglia alla nazione fino alla famiglia umana”. (Luigi Campiglio, docente di Politica economica all’Università Cattolica del Sacro Cuore, “Torniamo alle radici del bene comune”, Vita e Pensiero, n. 1/2011) Manuela Marri NOTE [1] Stefano Rodotà Il valore dei beni comuni, in “la Repubblica” 5 gennaio 2012 [2] Ugo Mattei, Beni comuni. Un manifesto, Laterza, 2011 |
Edizione contenuti Aprile 2012 - Riedizione grafica Luglio 2013
Copyright 2012-2013 ® Comitato Cittadino per la Cooperazione Decentrata della Città di Roma. Tutti i Diritti Riservati.
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