Diritti dei migranti e dei rifugiatiNel diritto internazionale non esiste una definizione universalmente accettata di “migrante”. L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), riassumendo le diverse posizioni, ha ritenuto che si potessero considerare migranti le “persone e membri familiari che si spostano in un’altra nazione o regione per migliorare le proprie condizioni materiali o sociali o le prospettive future per sé o la propria famiglia”.(1) L’OIM ha inoltre definito la migrazione come “il movimento di una persona o un gruppo di persone, attraverso un confine internazionale o all’interno di uno stato. È uno spostamento di popolazione, indipendentemente dalla durata, composizione o cause. Include la migrazione dei rifugiati, sfollati, migranti economici e persone che si spostato per altri motivi, incluso il ricongiungimento familiare.”(2) Il diritto a migrare è stato riconosciuto dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948 agli articoli 13 e 14(3). L’articolo 13 sancisce il diritto di ogni persona alla libertà di movimento all’interno dei confini di ogni Stato e il diritto di ognuno di lasciare il proprio paese e di farvi ritorno. L’articolo 14 della medesima convenzione stabilisce invece il diritto di asilo internazionale, ovvero il diritto di ogni persona di “cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni”. Il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, concluso a New York nel dicembre del 1966, a sua volta riconosce a “ogni individuo il diritto di lasciare qualsiasi Paese, incluso il proprio” e il diritto a spostarsi all’interno del territorio di uno Stato(4). Negli anni si è affermata una netta distinzione tra la migrazione forzata e la migrazione economica e sono stati predisposti degli strumenti internazionali a tutela delle diverse situazioni. I diritti dei lavoratori migranti sono stati sanciti da due grandi convenzioni internazionali: la Convenzione sulla migrazione in condizioni abusive e sulla promozione della parità di opportunità e di trattamento dei lavoratori migranti (Convenzione n. 143) approvata dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) nel 1975(5); la Convenzione internazionale sui diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (ONU) il 18 dicembre del 1990(6). Per quanto riguarda la migrazione forzata, il punto di riferimento nella normativa internazionale è la Convenzione sullo statuto dei rifugiati, firmata a Ginevra nel 1951 [cosiddetta (c.d.) Convenzione di Ginevra](7). A questa hanno fatto eco numerose convenzioni regionali ed è stata recepita nell’ordinamento interno di numerosi Stati. Vedremo di seguito come alcune situazioni di particolare vulnerabilità, come quelle delle vittime di tratta e dei minori migranti, abbiano inoltre ricevuto una tutela specifica. I diritti dei migranti economici La Convenzione ONU sulla protezione dei diritti dei lavoratori migranti definisce la migrazione economica come i movimenti delle persone da uno Stato all’altro per fini lavorativi. I lavoratori migranti sono quindi “persone che eserciteranno, esercitano o hanno esercitato una attività remunerata in uno Stato cui loro non appartengono".(8) Cenni Storici Il primo tentativo di tutelare la condizione dei migranti economici risale al 1939, quando l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) ha approvato la Convenzione n. 66 sui lavoratori emigranti. Tale Convenzione tuttavia non entrò mai in vigore. Nel 1949 l’OIL approvò una nuova convenzione, la Convenzione sui lavoratori migranti (riveduta) n. 97, in cui venivano recepite le proposte di modifica dell’accordo precedente. Questa prima Convenzione impegnava gli Stati membri a garantire:
Nel 1975 l’OIL approva una nuova Convenzione, la Convenzione sulla migrazione in condizioni abusive e sulla promozione della parità di opportunità e di trattamento dei lavoratori migranti (Convenzione n. 143). Tale Convenzione:
Diritti Stabiliti dalla Convenzione Onu L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite adotta per consensus, nel dicembre del 1990, la Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie . La Convenzione riconosce ai lavoratori migranti e alle loro famiglie il diritto a non subire alcuna forma di discriminazione e il godimento delle libertà e dei diritti fondamentali, come il diritto alla vita, all’integrità personale, la libertà di pensiero, religione, espressione, il diritto di educare i propri figli secondo la propria fede e le proprie usanze e convinzioni, il diritto di associazione, di proprietà; il diritto alla sicurezza della propria persona, a non essere sottoposti ad arresti e detenzioni arbitrarie. Vengono inoltre riconosciuti alcuni diritti che riguardano la particolare condizione dei lavoratori migranti: in caso di arresto, ad esempio, il lavoratore migrante ha il diritto ad essere informato, in una lingua a lui comprensibile, delle motivazioni dell’arresto e delle accuse mosse contro di lui. Le autorità consolari del suo paese di origine devono essere informate e il lavoratore ha il diritto di comunicare con esse in ogni momento. In caso di privazione della libertà personale, i lavoratori migranti devono essere trattati con il rispetto della dignità della persona umana e della loro identità culturale. Viene inoltre stabilito che, ove un migrante sia imprigionato per motivi relativi all’irregolarità del soggiorno, la detenzione avvenga in luogo separato da quello dei condannati e degli imputati. In seguito la Convenzione stabilisce il divieto per gli Stati membri di eseguire espulsioni collettive, la necessità che ogni espulsione sia stabilita, dall’autorità competente, solo a seguito dell’analisi della condizione individuale e che sia notificata al lavoratore migrante in una lingua a questi comprensibile. Avverso l’espulsione il lavoratore migrante ha il diritto di presentare ricorso davanti all’autorità competente. Per quanto riguarda gli aspetti economici e sociali, i lavoratori migranti hanno diritto allo stesso trattamento dei lavoratori nazionali in materia di retribuzione e affiliazione ai sindacati e per quanto riguarda la sicurezza sociale. Hanno diritto ad accedere alle cure mediche di emergenza, che non possono essere negate in ragione dell’irregolarità del soggiorno. Ai figli dei lavoratori migranti viene garantito il diritto all’educazione, anche nei casi in cui i genitori soggiornino irregolarmente sul territorio dello Stato Parte. Gli Stati devono assicurare il rispetto dell’identità culturale dei cittadini migranti e possono prendere misure e incoraggiare gli sforzi a questo riguardo. Ai lavoratori migranti deve inoltre essere garantito l’accesso e la partecipazione alla vita culturale del paese di impiego. La Convenzione si occupa poi dei diritti dei lavoratori frontalieri, dei lavoratori stagionali e dei lavoratori itineranti. La Sesta parte della Convenzione riguarda le misure che devono essere prese dagli Stati Parte per “promuovere condizioni sane, eque e dignitose per quel che concerne le migrazioni internazionali dei lavoratori e dei membri delle loro famiglie”. Gli Stati, nello stabilire le politiche migratorie, devono quindi tenere conto non solo del bisogno di manodopera, ma anche dei bisogni economici, sociali e culturali dei migranti e delle loro famiglie. In questa ottica devono prendere tutte le misure necessarie per permettere una corretta informazione dei lavoratori e dei datori di lavoro rispetto alla normativa in materia e impegnarsi a incrementare le comunicazioni e la cooperazione tra Stati sul tema delle migrazioni. La cooperazione deve essere volta anche a contrastare efficacemente l’impiego irregolare dei lavoratori e le reti di traffico degli esseri umani. Gli Stati devono inoltre impegnarsi ad assicurare che la situazione di irregolarità dei migranti presenti sul territorio non si prolunghi. Al contrario delle Convenzioni OIL, la Convenzione dell’ONU riconosce una serie di diritti anche ai lavoratori migranti “irregolari”, sebbene ogni diritto sia riconosciuto ai lavoratori migranti regolari e irregolari in maniera diversa. Ad esempio, per quanto riguarda il diritto alla salute, viene stabilito che tutti i lavoratori migranti, anche quelli “irregolari”, hanno diritto ad accedere alle cure di emergenza e alle cure “salva vita”, mentre solo ai lavoratori migranti regolarmente soggiornanti è riconosciuto il diritto ad accedere alle misure di prevenzione delle malattie e alle cure palliative. Probabilmente proprio il fatto di stabilire con forza che anche i cosiddetti “clandestini” abbiano una serie di diritti ha portato gli Stati “occidentali” di immigrazione a non firmare e ratificare la Convenzione. Va comunque notato che la mancanza di ratifica ha un valore solo “politico”, dato che i diritti riconosciuti ai migranti irregolari dalla Convenzione sono quei diritti umani fondamentali riconosciuti ad ogni essere umano al di là del proprio status e delle circostanze in cui vive. Ad ogni modo la Convenzione è entrata in vigore solo nel 2003 (quando è stata depositata la ventesima ratifica) ed è oggi in vigore solo in 46 paesi, 17 africani, 10 asiatici, 17 dell’America Latina e solo 2 europei, l’Albania e la Bosnia Erzegovina. La mancata ratifica della Convenzione da parte della maggioranza dei paesi che l’hanno approvata nell’Assemblea Generale stupisce ancor di più a fronte del lungo iter che ha portato alla sua adozione. La Convenzione è stata discussa per circa 20 anni (dal 1972) e la sua elaborazione ha visto l’attiva partecipazione ai gruppi di lavoro di molti stati europei. Diritti stabiliti dall’Unione Europea La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, adottata a Nizza nel 2000, stabilisce all’articolo 15 che “i cittadini dei paesi terzi che sono autorizzati a lavorare nel territorio degli Stati membri hanno diritto a condizioni di lavoro equivalenti a quelle di cui godono i cittadini dell'Unione”.(11) Permessi di Soggiorno per i Lavoratori Immigrati in Italia In Italia l’immigrazione è disciplinata dal Testo Unico sull’Immigrazione del 1998, più volte modificato negli anni successivi. In Italia esistono alcune tipologie di permessi di soggiorno che vengono rilasciati alle persone immigrate per motivi economici: Permesso di soggiorno per lavoro autonomo o subordinato: viene rilasciato ai cittadini extracomunitari che si trovano in Italia per svolgere un’attività lavorativa di tipo autonomo o subordinato. Diritti connessi:
Il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo: Il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo (la vecchia Carta di soggiorno) può essere richiesto trascorsi 5 anni di soggiorno regolare in Italia, se in possesso di un permesso di soggiorno in corso di validità (eccetto i soggiorni per studio, protezione temporanea e umanitaria, richiesta asilo e asilo) e non si siano verificate assenze dal territorio dello stato italiano per un periodo superiore ai 10 mesi complessivi nel quinquennio o 6 mesi consecutivi. Ai fini del calcolo dei 5 anni non si computano i periodi trascorsi in Italia per brevi periodi (meno di 90 giorni) o quelli trascorsi godendo di uno status giuridico particolare (personale diplomatico). Il permesso per lungo soggiornanti è a tempo indeterminato ma costituisce documento di identificazione per non più di 5 anni. Il titolare di permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti può:
La migrazione forzata L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) definisce la migrazione forzata come “Un movimento migratorio in cui è presente un elemento di coercizione, incluso il pericolo per la vita o la possibilità di sostentamento, che provenga da cause naturali o umane ” (ad esempio, movimenti di profughi e sfollati interni, movimenti di persone causati da disastri naturali, ambientali, chimici o nucleari, da carestia o progetti di sviluppo).(12) Cenni Storici - La nascita della Convenzione di Ginevra Fin dalla Prima guerra mondiale era divenuto chiaro che la questione dello status e della tutela degli apolidi e degli sfollati avrebbe costituito una delle più grandi sfide del dopo guerra. La Croce Rossa Internazionale nel 1921 chiese al Consiglio della Società delle Nazioni di costituire un Alto Commissariato per trattare la questione dei profughi russi. In seguito, nel 1943 fu fondata la United Nations Relief and Rehabilitation Administration of the World’s Refugees (UNRRA), che si occupava non solo dell’assistenza dei rifugiati, ovvero di quanti fuggivano dal proprio paese, ma di tutte le persone che erano state sfollate durante la guerra. Dal 1946 al 1951 fu l’International Refugee Organization (IRO) ad occuparsi dei movimenti di popolazione che interessarono l’Europa. La finalità dell’IRO era di giungere ad una “rapida, positiva e giusta soluzione del problema dei rifugiati e degli sfollati”, tuttavia in quegli anni non si riuscì a fornire una precisa definizione di chi fossero i rifugiati. Nel 1950 nacque l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), con un mandato esclusivamente umanitario. In seguito l’Assemblea generale delle Nazioni Unite incaricò il Consiglio economico e sociale (ECOSOC) di pensare una nuova organizzazione internazionale e uno strumento giuridico per gestire la questione. Nel 1951 fu così approvata la Convenzione di Ginevra, che all’articolo 1 stabilisce che il rifugiato è colui che: “chiunque, per causa di avvenimenti anteriori al 1° gennaio 1951 e nel giustificato timore di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese; oppure che, non avendo una cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di siffatti avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra.” Oltre a tale limite temporale (“avvenimenti anteriori al 1° gennaio 1951”) era prevista anche una “limitazione geografica” che gli Stati potevano decidere di rendere operante o meno, secondo la quale si potevano considerare rifugiati solo quanti fuggivano da avvenimenti europei. Tuttavia nel 1967 venne approvato il Protocollo di New York che permette l’applicazione dello statuto previsto dalla Convenzione di Ginevra a tutti i rifugiati, considerato che “dopo l’approvazione della Convenzione sono apparse nuove categorie di rifugiati, le quali […] possono essere escluse dalla Convenzione”(13) per via della limitazione temporale. La Convenzione di Ginevra stabilisce inoltre che al rifugiato vengano riconosciuti tutti i diritti dei cittadini dello Stato di residenza eccetto i diritti politici. È da notare, tuttavia, che al diritto di richiedere asilo non corrisponde nessun obbligo in capo agli Stati di riconoscere la protezione e accogliere il rifugiato. Il diritto d’asilo è stato per questa ragione definito come un “diritto mutilato”. Altre Convenzioni Regionali La Convenzione di Ginevra è stata la base comune per l’approvazione di varie convenzioni regionali che hanno ampliato e modificato parzialmente la definizione di Ginevra anche in base alle peculiarità socio-politiche delle diverse zone: la Convenzione dell’Organizzazione dell’Unità Africana relativa ad aspetti specifici dei problemi dei rifugiati in Africa. Approvata nel settembre 1969, dopo aver ripreso nel primo comma dell’articolo 1 la definizione delle Nazioni Unite, aggiunge al secondo comma che può accedere allo status di rifugiato “ogni persona che, a causa di aggressione esterna, occupazione, dominio straniero o gravi turbamenti dell’ordine pubblico, in tutto o in parte, del Paese di origine o di cittadinanza, è costretta ad abbandonare la propria residenza abituale per cercare rifugio in un altro luogo fuori dal Paese di origine o di cittadinanza”. la Dichiarazione di Cartagena del 1984 include nella definizione di rifugiato “ le persone fuggite dal loro Paese perché la loro vita, la loro sicurezza, o la loro libertà sono state minacciate da una violenza generalizzata, un’aggressione straniera, conflitti interni, una violazione massiccia dei diritti umani o altre circostanze che abbiano gravemente turbato l’ordine pubblico”. I paesi asiatici e africani che fanno parte dell’Organizzazione Consultiva e Giuridica Asia-Africa, possono fare riferimento nella loro legislazione alla Dichiarazione rivista di Bangkok che include nella sua definizione di rifugiato “ogni persona che, a causa di aggressione esterna, occupazione, dominio straniero o gravi turbamenti dell’ordine pubblico in tutto o in parte del Paese di origine o di cittadinanza, è costretta ad abbandonare la propria residenza abituale per cercare rifugio in un altro luogo fuori dal Paese di origine o di cittadinanza.” Diritti Stabiliti dalla Convenzione Onu La Convenzione di Ginevra del 1951 all’articolo 1 stabilisce che si considera rifugiato una persona che: “temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese; oppure che, non avendo una cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di siffatti avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra.” I migranti forzati sono tutelati dalle espulsioni, dai respingimenti e dalle deportazioni dal principio di non-refoulement, sancito dall’articolo 33 della Convenzione di Ginevra e parte integrante del diritto internazionale dei diritti umani e del diritto internazionale consuetudinario. La Convenzione di Ginevra stabilisce che "nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche". Il divieto di respingimento è applicabile a ogni forma di trasferimento forzato, compresi deportazione, espulsione, estradizione, trasferimento informale e non ammissione alla frontiera. È possibile derogare a tale principio solo nel caso in cui, sulla base di seri motivi, un rifugiato venga considerato un pericolo per la sicurezza del Paese in cui risiede o una minaccia per la collettività. In base alla Convenzione di Ginevra gli Stati Parte devono riservare ai rifugiati lo stesso trattamento previsto per i loro cittadini relativamente all’assistenza pubblica, all’educazione, al diritto di adire ai tribunali. Per quanto riguarda lo svolgimento di professioni dipendenti, indipendenti e liberali, il diritto all’alloggio, di associazione, di proprietà immobiliare, mobiliare e intellettuale, i rifugiati devono ricevere il trattamento più favorevole possibile e in ogni modo un trattamento pari almeno a quello concesso, nelle stesse circostanze, agli stranieri in generale. Per acquisire lo status di rifugiato i migranti forzati devono seguire un iter dettato dalla normativa nazionale o regionale durante il quale vengono analizzate le condizioni individuali per verificare la sussistenza dei requisiti dettati dalla convenzione di Ginevra e dalle altre convenzioni in materia. In questo periodo i migranti forzati vengono definiti richiedenti asilo, ovvero persone che hanno attraversato una frontiera internazionale in cerca di protezione come rifugiati e non hanno ancora ricevuto una decisione circa la propria domanda. Diritti stabiliti dall’Unione Europea La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, adottata a Nizza nel 2000, stabilisce il diritto di asilo e il diritto al non-refoulement agli articoli 18 e 19. L’Unione Europea si è inoltre dotata di una normativa comunitaria in merito alle modalità di accesso, di riconoscimento e di accoglienza(14). A fronte dell’eliminazione delle frontiere interne all’Unione, i paesi aderenti hanno stabilito un sistema di cooperazione e coordinamento delle frontiere esterne che ha influenzato fortemente la possibilità di accesso al diritto di asilo. In particolare tra la fine degli anni ’90 e l’inizio degli anni 2000 sono state approvate la Convenzione Dublino I e il Regolamento Dublino II(15) e, nel 2013, il Regolamento Dublino III(16) che hanno stabilito che i profughi provenienti da paesi terzi devono richiedere la protezione internazionale nel paese di “prime impronte”, ovvero nel primo paese dell’Unione in cui sono stati identificati. Negli anni successivi sono poi state approvate una serie di Direttive, qui di seguito descritte, allo scopo di creare un “Sistema europeo di asilo” e di armonizzare le normative dei paesi membri dell’Unione. Nel 2003 il Consiglio dell’Unione Europea emana una Direttiva “recante norme minime per l’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri”(17) in cui si stabiliscono a grandi linee le modalità di accoglienza e assistenza dei richiedenti asilo. Le “condizioni materiali di accoglienza” comprendono, secondo la definizione data dalla Direttiva, “alloggio, vitto e vestiario, forniti in natura o in forma di sussidi economici o buoni, nonché un sussidio per le spese giornaliere”. L’accoglienza può essere garantita all’interno dei “centri di accoglienza”, ovvero “qualunque struttura destinata all’alloggiamento collettivo dei richiedenti asilo”. La Direttiva prevede l’autorizzazione per gli Stati a porre dei limiti al diritto di circolazione dei richiedenti asilo nel loro territorio per motivi di “ordine pubblico” o “interesse nazionale”. Nel 2004 viene approvata la c.d. Direttiva qualifiche(18) che stabilisce le norme minime per il riconoscimento della qualifica di rifugiato e introduce la “protezione sussidiaria”, che può essere riconosciuta a quanti non rientrano nella definizione di rifugiato contenuta nell’articolo 1 della Convenzione di Ginevra perché non hanno subito una persecuzione personale per motivi di razza, religione, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per le loro opinioni politiche, ma che, in caso di rimpatrio correrebbero il rischio di “subire un grave danno”. La direttiva considera “gravi danni” la condanna a morte, la tortura e i trattamenti inumani e degradanti, la minaccia grave alla vita e all’incolumità di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato. La distinzione tra lo status di rifugiato e quello di titolare di protezione sussidiaria comporta il riconoscimento di minori garanzie ai secondi, che hanno diritto a un permesso di soggiorno della durata minima di un anno, mentre per i rifugiati è richiesta una durata minima di tre anni. Il titolo di viaggio viene rilasciato ai titolari della protezione sussidiaria ove dimostrino di non poterlo ottenere presso la propria ambasciata o “almeno quando sussistano gravi ragioni umanitarie che rendano necessaria la loro presenza in un altro Stato, purché non vi ostino imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico”. In via eccezionale rispetto alla norma generale, che prevede la parità di trattamento, gli Stati possono stabilire che i beneficiari della protezione sussidiaria possano accedere solo alle “prestazioni essenziali” dell’assistenza sociale e dell’assistenza sanitaria. Nel 2005, viene emanata la Direttiva “procedure”(19) che stabilisce le norme minime di procedura per il riconoscimento e la revoca della protezione internazionale. È l’ultimo strumento della prima fase della creazione del Sistema europeo comune di asilo, volto a raggiungere un primo livello di armonizzazione per quanto riguarda le “norme minime” in materia di asilo. Diritti stabiliti dalla Normativa Italiana In Italia il diritto di asilo è affermato tra i principi fondamentali della Costituzione della Repubblica, all’articolo 10.3 che recita: “ lo straniero al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”. È fondamentale notare i diversi requisiti espressi dalla previsione costituzionale rispetto a quelli previsti dalla Convenzione di Ginevra: la Costituzione riconosce il diritto d’asilo a tutti coloro che non possono godere nel loro paese d’origine delle libertà democratiche garantite dal nostro ordinamento, senza che sia necessario, come invece richiesto dalla Convenzione di Ginevra, che lo straniero sia personalmente perseguitato perché appartenente a determinate categorie. La legge che avrebbe dovuto essere emanata secondo il dettato costituzionale per disciplinare la materia non è mai stata approvata. Di contro si è affermata una giurisprudenza, soprattutto a opera del Consiglio di Stato, che ha ritenuto che il disposto del 10.3 non fosse direttamente applicabile ma costituisse una norma programmatica, non permettendone l’attuazione. La materia dell’asilo rimase priva di una normativa che la disciplinasse fino all’approvazione della Legge di attuazione della Convenzione di Ginevra nel 1954. In seguito la Legge Martelli del 1990 tentò di disciplinare in maniera organica l’immigrazione e la condizione dello straniero, fornendo un primo quadro di riferimento anche per i richiedenti asilo e i rifugiati. Inoltre è con la Legge Martelli che viene eliminata la “limitazione geografica” che l’Italia aveva apposto al momento della ratifica della Convenzione di Ginevra. Nel 2005 è stato approvato il Decreto legislativo 140/2005, attuativo della direttiva 2003/9/CE che stabilisce norme minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri. In seguito vengono recepite la direttiva “qualifiche” con Decreto legislativo 251/2007; la direttiva “procedure”, nel 2008. Di fatto, l’adozione della normativa europea ha affossato i rari tentativi di emanazione di una legge organica che disciplinasse le procedure per il riconoscimento dell’asilo costituzionale che, nonostante le radicali differenze in merito ai criteri per il riconoscimento dello status, viene invece sempre più assimilato al rifugio politico previsto dalla Convenzione di Ginevra e adottato dall’Unione europea. Diritti dei Richiedenti Asilo I diritti dei richiedenti asilo includono:
Diritti dei Rifugiati I diritti riconosciuti per i titolari dello status di rifugiato sono:
Diritti dei Titolari di Protezione Sussidiaria L’Unione Europea, visto l’ampliarsi delle situazioni da cui fuggono i migranti forzati, ha stabilito, con la Direttiva qualifiche, di riconoscere una forma di protezione internazionale, definita protezione sussidiaria, anche ai cittadini stranieri o apolidi che, pur non possedendo i requisiti per essere riconosciuti come rifugiati, in caso di ritorno nel paese di origine o di abituale residenza, correrebbero un rischio effettivo di subire un grave danno, quale la condanna a morte, la tortura, la minaccia alla vita in caso di guerra interna o internazionale.(20) I diritti di una persona con protezione sussidiaria sono:
Diritti dei titolari di permesso di soggiorno per Motivi Umanitari Pur non riconoscendo lo status di rifugiato, ma ritenendo che sussistano gravi motivi di carattere umanitario la Questura può rilasciare un permesso di soggiorno per motivi umanitari, che dà diritto a:
Diritti dei Minori Migranti Cenni Storici e Convenzioni Internazionali Nel 1946 nasce l’Unicef, una struttura creata dall’Onu, specializzata per l’infanzia, che nel 1953 diventa un'organizzazione internazionale permanente. Nel 1959 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite proclama all’unanimità la Dichiarazione dei diritti dell’infanzia che in dieci principi precisa gli obiettivi da perseguire per proteggere e aiutare i bambini. Nel 1989 l’Assemblea generale dell’Onu adotta la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia che rappresenta un punto di partenza per una serie di iniziative legislative e operative, interne agli stati o sovranazionali, a beneficio dell’infanzia (ratificata dall'Italia con legge 176/91). Il principio base che guida la Convenzione è il “superiore interesse del minore”, che deve ispirare ogni decisione presa. La Convenzione stabilisce inoltre che i principi stabiliti devono essere applicati senza discriminazioni di sorta. La Convenzione riconosce a tutti i minori un’ampia serie di diritti, tra cui il diritto alla protezione, alla salute, all’istruzione, all’unità familiare, alla tutela dallo sfruttamento, alla partecipazione sociale. Inoltre i minori hanno diritto alla protezione e alla cura, alla protezione dalla violenza psichica e fisica. Nel 1996 il Consiglio d'Europa adotta a Strasburgo la Convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei bambini (non ancora ratificata in Italia). Nel 1993 la Conferenza de L'Aja adotta la Convenzione sulla protezione dei minori e sulla cooperazione in materia di adozione internazionale (ratificata dall'Italia con legge 476/98). Diritti stabiliti dalla Normativa Italiana Vengono definiti “minori stranieri non accompagnati” quei minori stranieri che si trovano in Italia privi di assistenza e rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti per loro legalmente responsabili in base alle leggi vigenti nell’ordinamento italiano. I minori stranieri sono tutelati in base alla normativa italiana in materia di assistenza e protezione dei minori. Inoltre i minori stranieri sono inespellibili: non possono quindi essere rimandati nel paese di origine a meno che, dopo una accurata indagine, non sia ritenuta la soluzione migliore nell’interesse del minore. In questi casi il minore deve essere riaffidato alla famiglia o alle autorità competenti del paese di origine e gli deve essere proposto un progetto di reinserimento scolastico e sociale. I minori stranieri che temono di subire persecuzioni nel paese di origine possono presentare domanda di asilo e essere ascoltati dalla commissione competente in presenza del loro tutore. A tutti i minori non accompagnati viene riconosciuto il diritto al soggiorno per minore età. Diritti al compimento dei 18 anni Al compimento dei 18 anni il minore può ottenere un permesso di soggiorno che gli permetta di restare in Italia: i minori non accompagnati titolari di permesso per affidamento possono convertirlo in uno per studio, attesa occupazione, lavoro subordinato o autonomo, al compimento dei 18 anni, sotto determinate condizioni. (21) I minori titolari di un permesso per motivi familiari possono convertirlo in uno per studio, lavoro subordinato o autonomo, o per attesa occupazione al compimento dei 18 anni. I minori che abbiano commesso un reato per il quale siano stati reclusi prima del compimento della maggiore età, se hanno partecipato a un programma di assistenza e integrazione sociale possono, al termine della espiazione della pena, ottenere un permesso di soggiorno per protezione sociale. Il permesso per protezione sociale può inoltre essere rilasciato dal Questore, su proposta dei servizi sociali del Comune, anche ai minori stranieri nei cui confronti siano state rilevate situazioni di violenza e di grave sfruttamento (prostituzione, sfruttamento lavorativo, ecc.), per le quali vi siano concreti pericoli di incolumità. Il permesso per protezione sociale consente di lavorare ed è rinnovabile. Cristina Marchetti / Adelaide Massimi ---------------------------------
NOTE
1 http://www.iom.int/cms/en/sites/iom/home/about-migration/key-migration-terms-1.html 2 http://www.iom.int/cms/en/sites/iom/home/about-migration/key-migration-terms-1.html 3 Dichiarazione universale dei diritti umani. Approvata il 10 dicembre 1948 dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite. 4 Patto internazionale dei diritti civili e politici. Adottato il 16 dicembre 1966 a New York dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite 5 Convenzione sulla migrazione in condizioni abusive e sulla promozione della parità di opportunità e di trattamento dei lavoratori migranti. Convenzione n. 143. Adottata il 24 giugno 1975 dalla Conferenza generale dell'OIL. 6 Convenzione internazionale sui diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie Adottata il 18 dicembre 1990 a New York dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite 7 Convenzione sullo statuto dei rifugiati. Adottata il 28 luglio 1951 a Ginevra dalla Conferenza dei plenipotenziari sullo status dei rifugiati e degli apolidi convocata dalle Nazioni Unite. 8 http://www.onuitalia.it/diritto/convenzioni/InternationalConventionont.html 9 art . 8 Convenzione OIL 143 del 1975. 10 art. 12.f Convenzione OIL 143 del 1975. 11 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Proclamata ufficialmente a Nizza nel dicembre 2000 dal Parlamento europeo, dal Consiglio e dalla Commissione. 12 http://www.iom.int/cms/en/sites/iom/home/about-migration/key-migration-terms-1.html 13 Protocollo di New York, approvato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 31/01/1967. 14 Direttiva 2003/9/CE (c.d. Direttiva accoglienza); Direttiva 2004/83/CE (c.d. Direttiva qualifiche); Direttiva 2005/85/CE (c.d. Direttiva procedure). 15 Regolamento CE n. 343/2003 “Regolamento Dublino II”. Adottato il 18 febbraio 2003 dal Consiglio Europeo. 16 Regolamento UE n. 604/2013 “Dublino III” . Adottato il 26 giugno 2013 dal Consiglio Europeo 17 Direttiva 2003/9/CE del Consiglio del 27 gennaio 2003 recante norme minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri. 18 Direttiva 2004/83/CE del Consiglio del 29 aprile 2004 recante norme minime sull'attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta. 19 Direttiva 2005/85/CE del Consiglio del 1° dicembre 2005 recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato. 20 Art. 2.e Direttiva qualifiche. 21 Tali condizioni comprendono: l’essere entrati in Italia da almeno 3 anni, quindi prima del compimento dei 15 anni; l’aver seguito per almeno 2 anni un progetto di integrazione sociale e civile gestito da un ente pubblico o privato che abbia rappresentatività nazionale e sia iscritto negli appositi registri previsti dalla legge; il frequentare corsi di studio, o lo svolgimento di attività lavorativa retribuita nelle forme e con le modalità previste dalla legge, o l’essere in possesso di contratto di lavoro anche se non ancora iniziato. |
Edizione contenuti Aprile 2012 - Riedizione grafica Luglio 2013
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